La nozione di causa violenta

La nozione di causa violenta

Cass. Civ., Sez. Lav.,
27 febbraio 1986, n.
1259

L’art. 2 del D.P.R. n. 1124 del 1965, postulando, ai fini della indennizzabilità dell’infortunio, che lo stesso sia avvenuto in occasione del lavoro, ha la finalità di coprire non solo i rischi inevitabili, ma tutti quelli ampiamente connessi all’attività di lavoro e all’ambiente in cui questa si svolge, senza conferire rilievo alla maggiore o minore attenzione, diligenza o prudenza dell’infortunato. Consegue che l’infortunio sul lavoro va configurato in tutte le possibili eventualità concrete in cui l’attività lavorativa può manifestarsi, ivi comprese quelle che l’infortunato avrebbe potuto evitare con un comportamento più prudente. Pertanto, rientra nel rischio specifico dell’incaricato della sorveglianza su altri lavoratori quello connesso ai rapporti intersoggettivi che le relative mansioni comportano, tra le quali va compresa l’esigenza di muovere osservazioni, censure, rimproveri sull’operato di altri dipendenti con tutte le possibili implicazioni, anche trasmodanti nella violenza (nella specie il giudice del merito aveva escluso l’occasione di lavoro – e ritenuto viceversa il rischio elettivo – in un’ipotesi in cui un lavoratore addetto alla sorveglianza – mentre era normalmente in servizio – era accidentalmente deceduto nel corso di un litigio insorto con altro lavoratore al quale aveva rimproverato di aver in precedenza abbandonato illegittimamente il posto di lavoro e la sua attività di guardiano notturno)

Cass. Civ., Sez. Lav.,
4 maggio 1987, n.
4155

In tema di infortuni sul lavoro la causa violenta, quale prevista dall’art. 2 del D.P.R. n. 1124 del 1965 per l’indennizzabilità dell’infortunio, consiste in un evento che, con forza concentrata e straordinaria, agisca – in occasione di lavoro – dall’esterno verso l’interno dell’organismo del lavoratore, dando luogo alle alterazioni lesive; pertanto in tale nozione rientra anche lo stress emotivo ricollegabile al lavoro svolto dall’assicurato, ancorché le conseguenze lesive si determinino in tal caso con il concorso di una situazione morbosa preesistente (nella specie la Suprema Corte ha confermato la pronuncia del giudice del merito il quale aveva ritenuto la sussistenza della causa violenta in un’ipotesi in cui il lavoratore era deceduto per aneurisma addominale ed infarto miocardico in occasione di una vivace discussione avuta, per ragioni d’ufficio, col suo superiore gerarchico).

Cass. Civ., Sez. Lav.,
4 novembre 1988, n.
5966

Con riguardo agli infortuni sul lavoro, anche lo sforzo del lavoratore assicurato, fatto in condizioni abituali e tipiche di lavoro, che sia diretto a vincere una resistenza peculiare delle condizioni di lavoro e del suo ambiente, assurge a causa violenta allorché, con azione rapida ed intensa, arrechi una lesione all’organismo del lavoratore medesimo (nella specie la Suprema Corte ha cassato per vizio di motivazione la pronuncia del giudice del merito il quale aveva escluso il nesso di causalità in un’ipotesi in cui un guardiano antincendio di un cantiere forestale era deceduto per infarto senza tenere conto, oltre che del suo stato di salute malferma, anche delle condizioni in cui si svolgeva la prestazione lavorativa, effettuata dal lavoratore in un ambiente particolarmente assolato, senza compagni di lavoro e senza alcun presidio di pronto soccorso).

C. Cost. 21 marzo
1989, n. 137

Se per “opera manuale” deve intendersi – come sembra corretto intendere, pur con le estensioni operate dalla giurisprudenza – l’impiego di attività fisica diretto al raggiungimento di un ulteriore risultato, ne deriva che in tale nozione non è compresa l’ipotesi di una attività fisica che integri essa stessa un risultato produttivo, come appunto accade per quei lavoratori dello spettacolo, i quali, attraverso il muoversi, il gestire, il parlare, il cantare e addirittura il semplice essere fisicamente presenti, diano vita ad uno spettacolo. Va tuttavia rilevato che la limitatezza della definizione dell’”opera manuale” desumibile dalla legge appare un residuo della concezione originaria dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro come volta a proteggere gli operai addetti a macchine, apparecchi o impianti, in quanto particolarmente esposti al rischio nascente dai suindicati strumenti. Ma in un contesto normativo nel quale è già ammessa, sia pure in via di eccezione e per ipotesi tassativamente determinate (art. 1, comma terzo, numeri da 1 a 28), una esposizione a rischio assicurabile anche al di fuori dell’impiego delle macchine, la limitatezza in parola è contraddittoria ed ingiustificata, dovendosi per converso ritenere che l’assicurabilità del rischio va sancita in relazione alla natura obiettiva di esso, e, soprattutto, che, qualora talune attività siano assicurate in quanto espongono ad un dato rischio, obiettivamente considerato, non possa, senza offesa degli artt. 3 e 38 della Costituzione, non stabilirsi la copertura assicurativa per tutte quelle che espongono allo stesso rischio.

Cass. Civ., Sez. Lav.,
5 ottobre 1998, n.
9888

In tema di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, la causa violenta, quale prevista dall’art. 2 del D.P.R. n. 1124 del 1965 per l’indennizzabilità dell’infortunio, consiste in un evento che, con forza concentrata e straordinaria, agisca – in occasione di lavoro (nel senso di una derivazione eziologica, anche se indiretta o riflessa, dell’evento dall’attività lavorativa) – dall’esterno verso l’interno dell’organismo del lavoratore, dando luogo alle alterazioni lesive; pertanto in tale nozione rientra anche lo stress emotivo improvviso, dipendente da evento eccezionale, ricollegabile al lavoro svolto dall’assicurato, ancorché le conseguenze lesive si determinano in tal caso con il concorso di una situazione morbosa preesistente (nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto indennizzabile quale infortunio sul lavoro l’infarto del miocardio istantaneo occorso, anche se in presenza di precedente patologia del sistema cardiocircolatorio, al conducente di un treno in occasione dell’improvviso attraversamento dei binari da parte di una persona, a causa dello stress ricollegabile al timore dell’impatto con la medesima persona).

Cass. Civ., Sez. Lav.,
29 settembre 2000, n.
12798

Nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, lo sforzo messo in atto dal lavoratore, in una delle situazioni tipiche ed abituali del suo lavoro, al fine di vincere una resistenza specifica delle condizioni di lavoro e del suo ambiente, che determini, con azione rapida ed intensa, un infarto cardiaco e le relative conseguenze invalidanti o letali, costituisce causa violenta, ai sensi del testo unico dell’art. 2 del D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 (nella specie il giudice di merito, con la sentenza confermata dalla Suprema Corte, aveva ritenuto la sussistenza di un infortunio indennizzabile in relazione a quanto occorso all’autista di un autobus in servizio di linea extraurbano che, dopo un primo malore, aveva ripreso la guida per condurre a termine il servizio, incorrendo in un secondo malore, con infarto e conseguente decesso).

Cass. Civ., Sez. Lav.,
8 giugno 2000, n.
7822

In materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, va annullata per carenze e illogicità di motivazione la sentenza che abbia escluso l’eziologia lavorativa di un decesso per infarto del miocardio sulla base di considerazioni di carattere generale circa una mancanza di correlazione statistica tra la verificazione di eventi di tal genere e lo svolgimento di un’attività fisicamente impegnativa, senza una valutazione in concreto circa le modalità del lavoro svolto dall’infortunato e la possibile incidenza, anche solo concorrente, dello sforzo fisico sull’esito letale.

Cass. Civ., Sez. Lav.,
24 ottobre 2000, n.
13982

In tema di infortuni sul lavoro, affinché all’infarto cardiaco, il quale di per sé rappresenta una rottura dell’equilibrio nell’organismo dell’assicurato, dovuta ad un’azione determinata e concentrata nel tempo (come l’atto di sollevare il fieno con un forcone) – e quindi in grado di assurgere a causa violenta – possa essere riconosciuta un’eziologia lavorativa, va accertato se gli atti lavorativi compiuti, che non debbono necessariamente esulare dalle condizioni abituali e tipiche del lavoro cui l’infortunato è stato addetto, abbiano avuto l’efficienza causale nella verificazione dell’infarto.

Cass. Civ., Sez. Lav.,
26 ottobre 2000, n.
14085

Nell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, al fine di determinare se a un infarto cardiaco – che di per sé rappresenta una rottura dell’equilibrio nell’organismo del lavoratore concentrata in una minima misura temporale e quindi integra una “causa violenta” – è riconoscibile un’eziologia lavorativa, va accertato se l’attività lavorativa (che non deve necessariamente essere caratterizzata da sforzi particolari) abbia esercitato il ruolo di elemento causale, anche se concorrente con preesistenti fattori patologici, e se sussista tra la stessa attività e l’evento una contiguità temporale; esclusa da un breve intervallo tra lavoro e lesione, ove la lesione sia inequivocabilmente riconducibile all’attività svolta in un tempo immediatamente precedente (nella, specie, l’infarto, intervenuto presso il domicilio del lavoratore poco dopo la conclusione dell’attività lavorativa, era ricollegabile in maniera specifica, sia pure in un quadro di predisposizione patologica e di abitudini lavorative e di vita, alle prestazioni intense e stressanti compiute per alcuni giorni dal lavoratore stesso, funzionario direttivo di una organizzazione sindacale, ai fini dell’inaugurazione di una nuova sede e delle manifestazioni collaterali).

Cass. Civ., Sez. Lav.,
10 gennaio 2003, n.
239

I caratteri della causa violenta in relazione ai tradizionali requisiti della esteriorità e del dispendio di energia, la storica funzione della causa violenta, quale discrimine tra infortuni sul lavoro e malattie professionali, è ora affidata agli ulteriori caratteri della rapidità e della concentrazione, tanto più che il medesimo fattore (ad esempio, energia nucleare) può costituire alternativamente causa di infortuni sul lavoro o di malattie professionali, a seconda se agisca in maniera massiva e concentrata nel tempo oppure diluita e lenta. Nella ipotesi dell’infarto, come in quella di scuola delle infezioni microbiche e virali, vi è infatti e comunque un punctum temporis in cui si concentra la lesione determinante l’infortunio: nell’infarto, la rottura del muscolo cardiaco, anche se quale momento di saturazione di precedenti noxae accumulate; nell’infezione, come penetrazione dell’agente estraneo nell’organismo umano, nel quale esplode la sua virulenza. Per lo stesso motivo viene considerata infortunio sul lavoro la morte lenta da asfissia a seguito di crollo di galleria; analogamente per i ballerini vi è brusco movimento corporeo nel quale, a seguito della pronuncia citata, si deve ora individuare la causa violenta.

Cass. Civ., Sez. Lav.,
23 dicembre 2003, n.
19682

In tema di infortuni sul lavoro, lo sforzo fisico, al quale possono essere equiparati stress emotivi e ambientali, costituisce la causa violenta, ai sensi dell’art. 2, T.U. 30 giugno 1965 n. 1124, che determina con azione rapida e intensa la lesione; la predisposizione morbosa del lavoratore non esclude il nesso causale tra lo stress emotivo e ambientale e l’evento infortunistico, in relazione anche al principio della equivalenza causale di cui all’art. 41, c.p., che trova applicazione nella materia degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali, dovendosi riconoscere un ruolo di concausa anche ad una minima accelerazione di una pregressa malattia (nella specie, la sentenza impugnata, confermata dalla Corte suprema, ha ritenuto sussistente l’occasione di lavoro in relazione al decesso del responsabile di uno stabilimento, già affetto da patologia cardiaca, avvenuto a causa di un infarto determinato da stress emotivo, conseguente all’attivazione dell’allarme antincendio dello stabilimento e alla necessità di un suo intervento, e da stress ambientale, riconducibile alla rigida temperatura esistente all’esterno).

Cass. Civ., Sez. Lav.,
20 giugno 2006, n.
14119

Con riguardo agli infortuni sul lavoro disciplinati dal D.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, l’azione violenta che può determinare una patologia riconducibile all’infortunio protetto deve operare come causa esterna, che agisca con rapidità e intensità, in un brevissimo arco temporale, o comunque in una minima misura temporale, non potendo ritenersi indennizzabili come infortuni sul lavoro tutte le patologie che trovino concausa nell’affaticamento che costituisce normale conseguenza del lavoro.