L’ambiente di lavoro
Cass. Pen., Sez. IV, 9
maggio 1967, n. 793
Per ambiente di lavoro deve
intendersi tutto quello che circonda
l’operaio ed è del tutto indifferente
ove esso sia posto (edificio, nave,
vettura).
Cass. Pen., Sez. IV,
10 luglio 1969, n. 1349
Ai fini della definizione di ambiente
di lavoro, non rileva che questo sia
delimitato dallo steccato di un
cantiere o abbia invece una
collocazione in aperta campagna.
Cass. Pen., Sez. IV,
1° marzo 1979, n.
8235 (in senso
conforme v. Cass.
Pen., Sez. IV, 6
ottobre 1970, n. 1591;
Cass. Pen., Sez. IV, 3
ottobre 1980, n.
13400)
Per luogo di lavoro deve intendersi
non solo il complesso dei luoghi in
cui si svolga la vera e propria attività
lavorativa, ma anche qualsiasi altra
zona in cui i lavoratori passano o
debbano recarsi per incombenze di
qualsiasi natura in relazione alla
propria attività.
Cass. Pen., Sez. IV,
11 ottobre 1979, n.
2371
Per posto di lavoro deve intendersi
non soltanto il luogo prestabilito ove
il lavoratore attende normalmente
allo espletamento delle mansioni
affidategli, ma anche tutti quegli altri
luoghi ove il lavoratore medesimo, sia
pur in via eccezionale, possa accedere
per soddisfare esigenze comunque
inerenti alla sua attività lavorativa.
Cass. Pen., Sez. IV,
30 giugno 1983, n.
8149
Nella nozione di ambiente di lavoro
rientrano tutte le località dove il
lavoratore svolga la sua attività.
Cass. Pen., Sez. IV,
10 marzo 1989, n.
3725
Nella nozione di ambiente di lavoro
rientrano tutti i siti nei quali, per le
caratteristiche del lavoro, la presenza
del lavoratore costituisce necessità o,
comunque, prevedibile eventualità.
Cass. Pen., Sez. IV, 9
novembre 1989, n.
15311 (in senso
conforme v. Cass.
Pen., Sez. IV, 25
gennaio 1983, n. 554)
Ai fini dell’individuazione
dell’ambiente di lavoro, è necessario
considerare l’intero ambiente in cui si
svolge l’attività lavorativa.
Cass. Pen., Sez. Un.,
30 gennaio 1991, n.
1003
Per ambiente di lavoro deve
intendersi non solo quello in cui il
lavoro o il passaggio avviene in
continuazione, durante il
funzionamento dell’opificio, ma
anche quello nel quale si deve
lavorare od accedere saltuariamente,
senza che il lavoro o l’accesso risultino subordinati a particolari
condizioni o cautele.
Cass. Pen., Sez. IV,
17 marzo 1992, n.
2989
Per ambiente di lavoro deve
intendersi lo spazio in cui l’attività
lavorativa si sviluppa ed in cui,
indipendentemente dall’attualità
dell’attività, coloro che siano
autorizzati ad accedere nel cantiere e
coloro che vi accedano per ragioni
connesse all’attività lavorativa,
possono recarsi o sostare anche in
momenti di pausa, riposo o
sospensione del lavoro.
In tema di responsabilità per gli
infortuni sul lavoro, poiché, secondo
l’id quod plerumque accidit, i dipendenti
(pur per imprudenza, negligenza o
inesperienza) si muovono nell’ambito
dell’azienda in maniera occasionale e
anche al di fuori del posto loro
assegnato, il luogo di lavoro non può
ritenersi limitato alla spazio
strettamente necessario per il
compimento dei movimenti connessi
alla lavorazione, ma comprende
ragionevolmente le zone adiacenti,
nelle quali gli addetti possono
comunque recarsi e muoversi; le
misure di protezione, pertanto non
sono in funzione delle specifiche
mansioni del singolo lavoratore, ma
dell’azienda nel suo complesso. Ne
consegue che la contiguità e l’accessibilità della situazione di
pericolo escludono l’imprevedibilità
(e quindi l’abnormità) del
comportamento del lavoratore che
dal proprio posto di lavoro, per
raggiungere, nell’ambito delle proprie
mansioni, un più lontano spazio,
acceda al luogo attiguo pericoloso
(nella specie, la Suprema Corte ha
confermato la decisione impugnata
che aveva ritenuto la responsabilità
del datore di lavoro in relazione
all’infortunio occorso ad un
dipendente che, mentre stava
eseguendo lavori di manutenzione su
un nastro trasportatore, passando
sulla sommità di grandi tini
contenenti una soluzione di acido
solforico, era caduto dentro un tino
che presentava una apertura non
adeguatamente protetta né segnalata).
In particolare, in materia di
responsabilità per l’igiene e la
sicurezza dei luoghi di lavoro in
relazione alle case circondariali, in
base al decreto del Ministro della
giustizia 18 aprile 1996 il direttore è
titolare della posizione di garanzia in
riferimento al dovere di sicurezza degli istituti penitenziari ed egli
assume pertanto la qualifica di datore
di lavoro; tale garanzia comprende
tutti i luoghi di lavoro, ivi compresa la
caserma degli agenti penitenziari
posta all’interno della struttura di
reclusione (situata all’interno dello
stabilimento penitenziario, anche se
distinta dai locali di detenzione).
La palestra scolastica deve qualificarsi
luogo di lavoro, in quanto luogo ove
si svolge l’attività lavorativa di
insegnamento della disciplina di
educazione motoria, con la
conseguenza che essa è soggetta alla
normativa antinfortunistica dettata a
tutela della salute e della sicurezza dei
lavoratori: ciò, del resto, dovendolo
desumere dall’art. 1, comma 2, d.lgs.
19 settembre 1994 n. 626, che
espressamente estende l’ambito di
applicazione di tale normativa anche
agli istituti di istruzione ed
educazione di ogni ordine e grado, sia
pure tenendo conto delle particolari
esigenze connesse al servizio
espletato.
Non può sostenersi che le norme
poste a tutela dei lavoratori dai rischi
di caduta dall’alto – laddove i lavori si
svolgano ad altezza dal suolo
superiore ai due metri – riguardino
solo il luogo ove usualmente si svolge l’attività aziendale. In realtà, per luogo
di lavoro, tutelato dalla normativa
antinfortunistica, deve intendersi
qualsiasi posto in cui il lavoratore
acceda, anche solo occasionalmente,
per svolgervi le mansioni affidategli, e
che nella ratio della normativa
antinfortunistica, il riferimento ai
“luoghi di lavoro” ed ai “posti di
lavoro” non può che riguardare
qualsiasi posto nel quale
concretamente si svolga l’attività
lavorativa.