L’interpretazione estensiva della nozione di causa
violenta
Con riguardo agli infortuni sul lavoro
disciplinati dal D.P.R. 30 giugno
1965, n. 1124, la predisposizione
morbosa non esclude il nesso causale
tra sforzo e ed evento infortunistico,
in relazione anche al principio di
equivalenza causale di cui all’art. 41
c.p., che trova applicazione nella
materia degli infortuni sul lavoro e
delle malattie professionali, con la
conseguenza che un ruolo di
concausa va attribuito anche ad una
minima accelerazione di una
pregressa malattia – salvo che questa
sia sopravvenuta in modo del tutto
indipendente dallo sforzo compiuto
o dallo stress subito nella esecuzione
della prestazione lavorativa – la quale, anzi, può rilevare in senso contrario,
in quanto può rendere più gravose e
rischiose attività solitamente non
pericolose e giustificare il nesso tra
l’attività lavorativa e l’infortunio
(nella specie la Suprema Corte ha
cassato la sentenza impugnata che,
attribuendo l’evento ad una
preesistente condizione patologica,
aveva escluso l’incidenza causale
dell’attività lavorativa in occasione
della insorgenza di un infarto del
miocardio, seguita ad uno sforzo
lavorativo – consistito nella
sabbiatura di manufatti mediante
compressore del peso di 20 kg., da
sostenere con le braccia per tutta la
durata della operazione – in un
dipendente già affetto da
coronaropatia).
La predisposizione morbosa del
lavoratore non esclude il nesso
causale fra lo sforzo fisico (o le
situazioni di stress emotivo ed
ambientale) e l’evento infortunistico,
anche in relazione al principio
dell’equivalenza causale di cui all’art.
41 c.p., che trova applicazione nella
materia degli infortuni sul lavoro.
Nell’apprezzamento dell’azione di
lavoro, al fine di stabilire la
sussistenza o meno nel singolo caso
concreto degli estremi dello sforzo
come causa violenta di infortunio,
deve tenersi conto delle preesistenti
condizioni fisiopatologiche del
soggetto, in quanto una
predisposizione morbosa dovuta a
tali condizioni soggettive può far sì
che il concentrato dispendio di
energie per un atto di lavoro, il quale
di per sé pur non ne richiede
l’erogazione in misura
ordinariamente tale da essere lesiva,
provochi, nella concreta situazione di
menomazione del soggetto, la brusca
rottura del preesistente, precario,
equilibrio organico e dia luogo a
conseguenze invalidanti.
Cass. Civ., Sez. VI, 13
marzo 2017, n. 6451
(in senso conforme,
Cass. Civ., Sez. VI, 10
ottobre 2012, n.
17286; Cass. Civ.,
Sez. Lav., 30
dicembre 2009, n.
27831; Cass. Civ.,
Sez. Lav., 23
dicembre 2003, n.
19682; Cass. Civ.,
Sez. Lav., 10 gennaio
2003, n. 239; Cass.Civ., Sez. Lav., 6
ottobre 2000, n.
13741)
In materia di assicurazione
obbligatoria contro gli infortuni sul
lavoro, la causa violenta, richiesta
dall’art. 2 del D.P.R. n. 1124 del 1965
per l’indennizzabilità dell’infortunio,
può riscontrarsi anche in relazione
allo sforzo messo in atto nel
compiere un normale atto lavorativo,
purché lo sforzo stesso, ancorché
non eccezionale ed abnorme, si riveli
diretto a vincere una resistenza
peculiare del lavoro medesimo e del
relativo ambiente, dovendosi avere
riguardo alle caratteristiche dell’attività lavorativa svolta e alla
loro eventuale connessione con le
conseguenze dannose dell’infortunio.