LA GESTIONE DEGLI SPAZI E DELL’ACCESSO AL LAVORO: gli aspetti relativi alla gestione degli spazi aziendali e delle modalità di accesso al lavoro sono, fin da subito, risultati centrali nell’ambito della predisposizione di idonee misure prevenzionistiche. Tali misure, come peraltro anche quelle di carattere organizzativo (infra §1.2), mostrano chiaramente la tensione verso una duplice finalità di cui sia le parti sociali sia le normative si sono fatte portatrici: quella di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nei contesti aziendali e quella di contrasto alla diffusione del virus a tutela della salute pubblica generale. Si riconducono a questa categoria di misure, oltre alle previsioni per assicurare il distanziamento all’interno dei luoghi di lavoro (es. gestione mense aziendali) e la sanificazione dei locali aziendali, tutte le disposizioni relative alle condizioni di accesso ai luoghi di lavoro, tra quarantene, isolamento, tamponi e test sierologici e, in una seconda fase della gestione pandemica, green pass e obbligo vaccinale.

È stata quest’ultima tematica che ha attratto progressivamente le maggiori attenzioni sia del legislatore sia delle parti sociali e dei lavoratori, collocando in prima fila il giudice, ordinario e amministrativo, nonché le Corti costituzionale e di giustizia dell’Unione europea, per valutare la legittimità delle misure adottate dal legislatore su molteplici questioni, che ruotano soprattutto intorno agli artt. 4 e 4-ter (ed ora anche 4-ter.1 e 4-ter.2), d.l. 1° aprile 2021, n. 44, relativi rispettivamente agli operatori di interesse sanitario e al personale scolastico che, più di altri, hanno fatto ricorso ai giudici (C.I. Buonocore, Obbligo vaccinale, operatori di interesse sanitario e personale scolastico: quadro normativo di riferimento): anzitutto la disparità di trattamento tra l’operatore sanitario esonerato dall’obbligo vaccinale, che può continuare a lavorare pur nel rispetto delle misure di sicurezza, e quello che invece abbia scelto di non aderire alla campagna, ma è disposto a rispettare le suddette misure anticontagio (C.I. Buonocore, Rifiuto legittimo (e non) dell’operatore sanitario e disparità di trattamento al vaglio della Corte costituzionale e della Corte di giustizia U.E.), poi, la espunta previsione dell’obbligo del repêchage quale misura graduale prima della sospensione solo per gli operatori sanitari “no vax”, a differenza del personale scolastico (C.I. Buonocore, Operatori di interesse sanitario e personale scolastico: obbligo vaccinale e repêchage), proseguendo sulla questione del mancato percepimento della retribuzione indispensabile per far fronte ai bisogni primari (C.I. Buonocore, Lavoratori sospesi e diritto a percepire la retribuzione, tra rimessione alla Corte costituzionale e soluzioni, non conformi alla legge, dei giudici di primo grado … compresi i tamponi in luogo del vaccino), ancora sulle questioni di legittimità costituzionale (C.I. Buonocore, Obbligo vaccinale e un monolito per la Corte costituzionale e la Corte di giustizia dell’U.E. Quando la previsione dell’obbligatorietà del vaccino non è incostituzionale?). Infine è interessante osservare come i datori di lavoro e la giurisprudenza hanno affrontato la prima fase della pandemia, allorquando l’obbligo vaccinale non era stato ancora introdotto dal d.l. n. 44/2021, ovvero quando tale obbligo normativo era appena entrato in vigore (C.I. Buonocore, Primi orientamenti giurisprudenziali sull’obbligo vaccinale).

Al di là dei profili riguardanti le limitazioni all’accesso al lavoro e le relative conseguenze, la centralità della verifica delle condizioni di accesso così come, per certi aspetti, di quelle relative alla gestione degli spazi e dei contatti interpersonali, ha sollecitato con modalità senza precedenti il bilanciamento tra tutela della salute e sicurezza dei lavoratori e garanzie in materia di riservatezza dei lavoratori (E. Dagnino, Covid-19 e trattamento dei dati dei lavoratori: un fronte esposto nella gestione pandemica).

Un altro aspetto di interesse, soprattutto nella prima fase della pandemia, è stata la gestione, ad opera della contrattazione collettiva (soprattutto al livello aziendale), della somministrazione di test sierologici e tamponi ai lavoratori (e in alcuni casi ai loro familiari nonché a vere e proprie comunità di persone) per garantire l’accesso ai luoghi di lavoro in sicurezza, anche mediante collaborazioni con enti sanitari, privati e pubblici, locali. Ed invero, in un contesto in cui istituzioni regionali, nazionali e comunitarie ponevano limiti e dubbi sulla possibilità di utilizzare tali strumenti come requisito di accesso nei contesti produttivi, le parti sociali, tramite la sottoscrizione di protocolli di sicurezza, hanno dimostrato un certo attivismo in materia, facendo emergere, insieme ad alcuni dubbi di carattere sistematico anche l’importanza di un diritto che nasce dai sistemi di relazioni industriali – il diritto delle relazioni industriali – come base per progettare assetti giuridico-istituzionali adattabili ai contesti di riferimento (G. Benincasa, La somministrazione di test seriologici e tamponi per la ricerca del Sars-Cov-2 nei luoghi di lavoro: evidenze dai protocolli e dagli accordi collettivi sottoscritti al livello settoriale, territoriale e aziendale).