Giada Benincasa
Con la cd. “Fase 2” ormai alle porte, il 24 aprile scorso è stato pubblicato il Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro sottoscritto dal Governo e dalle parti sociali ad integrazione della prima versione, ormai nota, del 14 marzo.
Il nuovo documento – integrativo (e non modificativo) rispetto al quadro previgente delineato dal Protocollo del 14 marzo – prevede contenuti innovativi rispetto all’obbligo di informazione da erogare a beneficio dei dipendenti, specificando che dovrà tenere conto delle specifiche mansioni e del contesto lavorativo in cui si esplica l’attività lavorativa.
Per le modalità di ingresso in azienda viene specificato e aggiunto che in caso di una persona precedentemente risultata positiva al COVID-19, l’ingresso dovrà essere preceduto da certificazione medica circa la “negativizzazione” del tampone rilasciata dal dipartimento di prevenzione territoriale di competenza. Viene precisato inoltre che il datore di lavoro sarà tenuto a fornire la massima collaborazione nel caso in cui l’autorità sanitaria competente disponga di misure aggiuntive quali l’esecuzione dei tamponi per i lavoratori. Per la gestione di una persona sintomatica viene specificato che al momento dell’isolamento (come previsto già nella versione del 14 marzo) dovrà essere munito di mascherina chirurgica. Per i fornitori esterni sono poi previste specifiche misure aggiuntive a quelle già esistenti per fronteggiare l’eventualità di dipendenti dell’appaltatore positivi al COVID-19: in tal caso l’appaltatore dovrà informare immediatamente il Committente ed entrambi dovranno collaborare con l’autorità sanitaria anche al fine di ricostruire le informazioni sui cd. “contratti stretti”. Al Committente viene richiesto altresì di informare l’appaltatore circa i contenuti del Protocollo aziendale e di vigilare affinché chiunque entri nel proprio perimetro aziendale ne rispetti i contenuti.
Nelle aree geografiche maggiormente colpite dalla pandemia e nelle aziende in cui si sono registrati casi sospetti di COVID-19 è necessario, prima della riapertura, effettuare una sanificazione straordinaria degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni, ai sensi della circolare n. 5443 del 22 febbraio 2020. Inoltre, in tutti gli ambienti di lavoro, il datore di lavoro dovrà rendere accessibili a tutti i detergenti per le mani, i quali dovranno essere collocati in punti facilmente individuabili.
Senza entrare nel merito della necessità di aggiornare o meno il DVR a fronte del rischio da COVID-19, il Protocollo siglato il 24 aprile specifica che dovranno essere adottati idonei DPI sulla base del complesso dei rischi valutati nonché sulla base della mappatura effettuata sulle diverse attività dell’azienda. Si prevede altresì l’obbligo per tutti i lavoratori di utilizzare una mascherina chirurgica in caso di accesso a spazi condivisi.
Sul piano organizzativo viene ribadito che è preferibile, anche in vista delle riaperture nella cd. Fase 2, utilizzare il lavoro a distanza (quale strumento di prevenzione) sottolineando che il datore di lavoro dovrà garantire supporto al lavoratore e alla sua attività (assistenza nell’uso delle apparecchiature, modulazione dei tempi di lavoro e delle pause). In vista della ripresa delle attività produttive è necessario altresì rimodulare gli spazi di lavoro e adibire uffici vuoti (come ad esempio le sale riunioni) a persone che non necessitano di particolari strumenti di lavoro e che possono eseguire la propria attività lavorativa da soli. Per gli ambienti di lavoro in cui operano più lavoratori contemporaneamente possono essere previste misure quali il riposizionamento delle postazioni di lavoro (avendo cura di distanziarle) e la rimodulazione degli orari di lavoro per evitare assembramenti (sul luogo di lavoro nonché in ingresso e in uscita). Le indicazioni per la gestione dell’organizzazione non si limitano al luogo di lavoro: con particolare riferimento all’utilizzo di trasporto pubblico viene precisato che sarà necessario evitare “aggregazioni sociali” anche durante il tragitto casa-lavoro-casa (suggerendo di incentivare l’utilizzo di mezzi propri, navette e forme di trasporto con adeguato distanziamento tra i viaggiatori).
Un punto di particolare interesse è quello in cui viene specificato (e rafforzato) il ruolo del medico competente al quale si richiede di attuare le indicazioni delle autorità sanitarie e di suggerire, dato il suo ruolo nella valutazione dei rischi e nella sorveglia sanitaria, l’adozione di eventuali mezzi diagnostici qualora ritenuti utili al fine del contenimento della diffusione del virus e della salute dei lavoratori. Tuttavia, tale disposizione risulta particolarmente generica, lasciando dunque spazio (e perplessità) rispetto all’attuazione di queste misure, molto dibattute nella comunità medico-scientifica.
Il medico competente deve essere coinvolto anche nella fase di ripresa delle attività per l’individuazione di particolari situazioni critiche e di fragilità (nelle quali devono essere ricomprese anche quelle inerenti all’età), attività riconducibile ai sensi dell’art. 25, D.lgs. 81/2008 laddove viene prevista la collaborazione del medico competente “alla predisposizione della attuazione delle misure per la tutela della salute e della integrità psico-fisica dei lavoratori”. Tuttavia, il datore di lavoro non dovrebbe essere informato delle condizioni che rende il soggetto “fragile”. Pertanto è possibile ritenere che la previsione contenuta nel Protocollo, laddove richiama il rispetto della normativa privacy, dovrà essere intesa anche in questo senso.
Fermo restando la necessità di avere la certificazione medica di “negativizzazione” al tempone richiamata sopra, per il reintegro dei lavoratori a seguito dell’infezione da COVID-19, il medico competente dovrà effettuare la visita medica precedente alla ripresa del lavoro, a seguito di assenza per motivi di salute di durata superiore ai sessanta giorni continuativi, al fine di verificare l’idoneità alla mansione (D. Lgs 81/08 e s.m.i, art. 41, c. 2 lett. e-ter), anche per valutare profili specifici di rischiosità e comunque indipendentemente dalla durata dell’assenza per malattia. A tal proposito merita segnalare che, dato l’incerto posizionamento del Protocollo in parola tra le fonti, potrebbe porsi un problema di legittimità ai sensi dell’art. 5, Stat. Lav., visto che l’art. 41 prevede espressamente due ipotesi di sorveglianza: quelle previste dalla legge e quelle espressamente richieste dai lavoratori (laddove il medico competente le ritenga correlate ai rischi lavorativi).
Infine, viene specificato che laddove, per la particolare tipologia di impresa e per il sistema delle relazioni sindacali, non si desse luogo alla costituzione di comitati aziendali, verrà istituito, un Comitato Territoriale composto dagli Organismi Paritetici per la salute e la sicurezza, laddove costituiti, con il coinvolgimento degli RLST e dei rappresentanti delle parti sociali. Potranno essere altresì istituiti comitati per le finalità del Protocollo al livello territoriale o settoriale.
Nell’attesa che il Governo intervenga per chiarire i dubbi che potrebbero porsi in relazione alle misure previste dal Protocollo oggetto della presente analisi e richiamate sopra, non possiamo non interrogarci sulla necessità di ulteriori interventi normativi al fine di attuare pacificamente tali disposizioni.