Emanuele Dagnino
Tra i soggetti più esposti ai rischi di diffusione del coronavirus, ci sono certamente i ciclo-fattorini che, pure in questa fase emergenziale, continuano a fornire il servizio di delivery sulle strade delle città.
Della loro situazione stanno cominciando ad occuparsi i tribunali italiani, sollecitati dalle richieste di tutela da parte di questi lavoratori con riferimento alla propria salute e sicurezza. Dopo il Tribunale di Firenze (Trib. Lav. Firenze 1° aprile 2020), anche il Tribunale di Bologna (Trib. Lav. Bologna, 14 aprile 2020), ha sancito in sede di giudizio cautelare inaudita altera parte l’obbligo da parte delle piattaforme del food delivery di fornire idonei dispositivi di protezione individuale contro i rischi di contagio. I due decreti, pur presentando profili in comune e nonostante quello del Tribunale di Firenze sia espressamente richiamato dal Tribunale di Bologna, presentano alcuni interessanti tratti di differenza.
Entrambe le decisioni riconoscono la sussistenza del fumus boni iuris rispetto alla doglianza di parte riconducendo il rapporto di lavoro tra rider e piattaforma all’alveo di applicazione dell’art. 2 co. 1 del d.lgs. n. 81/2015; d’altro canto, invece, emergono differenze sia rispetto alle modalità di tale riconduzione sia rispetto all’ulteriore argomentazione di sostegno alla sussistenza del fumus boni iuris.
Quanto al primo profilo, mentre il Tribunale di Firenze pare fare applicazione dell’art. 2 co. 1 nella versione precedente alla novella normativa, citando espressamente un passaggio della recente sentenza di Cassazione n. 1663/2020 laddove si richiamano le caratteristiche della etero-organizzazione pre-riforma [1], il Tribunale di Bologna fa espresso riferimento alla versione post-riforma, collegandosi poi all’orientamento della Cassazione in senso rafforzativo della posizione assunta. Difficile individuare con precisione i motivi sottostanti la diversa scelta operata dai giudico: potrebbe semplicemente essere una questione riguardante la data di inizio del rapporto sottoposto a giudizio (che dai decreti non emerge) oppure una diversa interpretazione dei profili di applicazione temporale della nuova disciplina.
Quanto poi, agli specifici profili riguardanti l’applicazione delle misure (e delle tutele) in materia di salute e sicurezza il prosieguo della analisi del fumus nei due decreti si segnala per un approccio completamente diverso.
Da un lato, il Tribunale di Firenze richiama la disciplina recentemente introdotta del Capo V-bis, fondando il diritto del rider di ricevere i DPI – ad abundantiam e a prescindere dalla valutazione di ricorrenza dei requisiti di cui all’art. 2 co. 1 – sull’applicazione della disciplina secondo cui il committente (piattaforma) è tenuto «nei confronti dei lavoratori di cui al comma 1, a propria cura e spese, al rispetto del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81»[2].
Diversamente, il Tribunale di Bologna non fa alcun riferimento a tale disciplina, probabilmente ritenendo assorbito l’aspetto dell’applicazione del TU di salute e sicurezza sul lavoro con riferimento alla riconduzione al lavoro etero-organizzato. Si premura, invece, di rafforzare la propria argomentazione rispetto al tipo di attività svolta e ricollegandolo a ragioni di tutela sia del lavoratore sia della clientela, per come emergono dalla disciplina emergenziale.
Al di là del possibile esito della vicenda con riferimento alle ordinanze che saranno emanate, è interessante soffermare l’attenzione sull’argomentazione del Tribunale di Firenze, laddove richiama il Capo V-bis. In quella sede, infatti, il Tribunale pare richiamare l’applicazione dell’intero corpus normativo del TU al lavoro dei rider, aderendo ad una delle due diverse interpretazioni sostenute dai primi commentatori della riforma, quella estensiva. In assenza di una chiara previsione normativa, infatti, secondo parte della dottrina la disposizione di cui all’art. 47-septies, produrrebbe l’estensione dell’ambito applicativo dell’intero TU di salute e sicurezza sul lavoro; secondo altra parte, invece, laddove non si applichi l’art. 2 co. 1, si dovrebbe ritenere applicabile ai rider la sola disciplina rilevante per i rapporti di lavoro autonomo, con la differenza rispetto alle ordinarie previsioni del TU che tale applicazione avvenga a cura e spese della società committente.
Al di là del riferimento all’art. 71 da parte del Tribunale – ovvero ad una disposizione riguardante le attrezzature di lavoro e non i DPI – si tratta di una presa di posizione con un portato rilevante e sarà particolarmente interessante conoscere la posizione assunta nell’ordinanza per analizzare un primo orientamento sul punto. Occorre sottolineare, però, che con specifico riferimento alle doglianze di causa la soluzione della vicenda non sarebbe stata diversa neanche in applicazione della interpretazione restrittiva prospettata in dottrina, dal momento che ai sensi dell’art. 21 del TU, il lavoratore autonomo è tenuto a munirsi dei dispositivi di protezione individuale e che, in applicazione dell’art. 47-septies, tale adempimento ricadrebbe sulla committente nello specifico caso dei rider (a cura e spese).
Certo non si può biasimare il giudice che in sede di giudizio ex art. 700 non si è prolungato in una complessa e articolata esegesi della disposizione, ma le prossime fasi saranno particolarmente interessanti per un primo vaglio della disciplina di default – ovvero applicabile a prescindere dalla riconducibilità dell’attività del rider al lavoro etero-organizzato – introdotta dal legislatore.
[1] Nello specifico, si richiama il passaggio in cui la Corte afferma che «in un’ottica sia di prevenzione sia “rimediale”, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato quando la prestazione del collaboratore sia esclusivamente personale, venga svolta in maniera continuativa nel tempo e le modalità di esecuzione della prestazione, anche in relazione ai tempi ed al luogo di lavoro, siano organizzate dal committente».
[2] Così l’art. 47-septies, co. 3, d.Lgs. n. 81/2015, introdotto dal d.l. 3 settembre 2019, n. 101, convertito con l. 2 novembre 2019, n. 128.